mercoledì 9 novembre 2011

Non dire mai addio perché addio significa andare via e andare via significa dimenticare. J. M. Barrie - Peter Pan.

domenica 2 ottobre 2011

Ho inciso col bisturi, affranco al cuore, il nome di tutte le stelle che mi hai spento senza neanche accorgertene.

giovedì 11 agosto 2011

to someone else

Legarci i tuoi sogni con lo spago. Per dirci che ci amiamo.

Crocifiggere i miei sogni.

Per dirmi che mi ami.

lunedì 4 luglio 2011

Di tombe di faraoni e di antri barocchi

Sono affranto e sconsolato. Come aveva detto qualcuno “mi sento la copia del vuoto”, o forse era del nulla. Ed è così che ti senti, mi sento tolta la voglia di scrivere, recisa crudelmente in un’estate che inneggiava alle parole, benché esse fossero sole, incrinate, ammaestrate. Ho sempre considerato il mio blog la mia agenda personale, dove annotare tutti i sentimenti, le sensazioni, il mio modo di vedere il mondo. E non ho mai pensato che la mia personalità potesse essere copiata per vestirne qualcun’altra. Non avevo mai pensato neppure al plagio; mi sembrava una cosa talmente lontana, specie con la licenza accanto,  - prima era nel footer –. E quando ho visto la mia anima spiattellata là, i miei racconti modificati, ho sentito il cuore abbandonare la sua presa per un attimo. Ho pensato che dentro di me c’era il vuoto. Sapete, le tombe dei faraoni. Vengono aperte, trafutest____by_karil-d377x5zgate, spogliate della loro stessa eternità, le credenziali del paradiso. Poi te li ritrovi al museo, così, bell’esposte, ma almeno al museo hanno rispetto della tua mummia, quel minimo  rispetto che li porta a incastrarti in una teca di vetro, tenerti in buono stato e tutto quel che segue, a scrivere pure il tuo nome. Ma io non sono una mummia e sinceramente avrei voluto esserlo, mi si sarebbe rivelata una sorte più consona ai miei canoni.

Insomma, il punto è questo. Non fare nomi è la puntina principale, anche perché non ce n’è bisogno, penso capirà a chi mi sto rivolgendo quando lo leggerà. Il punto è che le mie frasi, parti di miei racconti, sono stati postati su un gruppo facebook e spacciati per propri da terzi. La cosa che mi rattrista è appunto quale sia il motivo di tale atto, o quantomeno cosa spinga a fare ciò, sapete penso che tutto ciò che provo sia mio, non di altri. Che il mio cuore, la mia anima, mi appartengano. Tra l’altro negli ultimi tempi stavo collaborando con un editore per pubblicare una raccolta di racconti, il cui scopo era appunto lanciare il romanzo come una sorta di raccoglitore dei miei post di blog e racconti inediti, tra l’altro celebrare appunto il blog come la mia piccola casa dove poter leggere appunto i post e le frasi, così, senza vergogna. Ciò che è successo mi ha colpito molto, ci troviamo di fronte a un universo effimero, dove non si da peso alle azioni, alle maschere che indossiamo. Quando l’editore ha ricevuto la notizia è rimasto sgomento, soprattutto oramai ho stretto una forte amicizia con lui che era in procinto di denunciare l’accaduto alla polizia postale. L’ho fermato perché sinceramente ho pensato tutto ciò fosse infantile, e che mi sarebbe piaciuto seguire l’evolvere della vicenda fino al suo capitolare finale e poi prendere, con sommo gaudio, le decisioni finali, qualunque fossero state. Vista come si è conclusa la vicenda, l’editore ha deciso di occuparsi del caso tutelando il mio sito e tenendo d’occhio mediante motori di ricerca specializzati se si fossero presentate altre situazioni simili.

Mi sono sentito preso per fesso, mi sono sentito preso in giro.

Ho sempre pensato che si dovrebbe avere una faccia abbastanza dura per sfregiare l’animo altrui, in caso contrario ho sempre pensato che ad ogni errata conseguenza venisse recapitata una scusa e non un xD/  -.-“”””/ ma le scuse le devo dare io per essere stato così cretino da continuare a fidarmi dei miei lettori, del web. Evidentemente dovevo prendere le giuste misure.

Mi ero trovato bene qua, nel mio antro barocco, mi ero trovato bene con tutto, la grafica, la solitudine… mi è andato bene tutto, non mi sono abbattuto se nessuno commentasse, se i lettori fissi fossero così pochi. Anzi, ne ero felice. Prima di tutto scrivo per la gente che mi fa provare emozioni, che fa parte della mia vita – la mia famiglia con tutto il ramo genealogico, francy, la mia classe, i miei amici in toto. E non me ne fregava molto dell’altro, stavo bene così, con la mia moleskine nera e illuminata con soffusi colori. Evidentemente al giorno d’oggi non c’è rispetto per nessuno.

Ho preso la decisione di lasciare il mio blog esposto, così. Nulla sarà più aggiornato oltre le sporadiche recensioni per Giunti Y, resterà questo post e poi annacquato nella noia di un pomeriggio estivo. Pure la mia pagina su efp non sarà aggiornata. Non ho voglia di farlo, non con voi, non con un blog di questo genere. No. Forse riaprirò un blog, per essere sinceri, ma posterei soltanto pareri su argomenti noiosi. Nessun sentimento, emozione, frase, racconto. Nessun vero me stesso. E ciò mi rattrista, mi sento tarpata la libertà di pensiero.

Stavolta non mi hanno spodestato. Non c’era nessun vento. C’era una bufera, una tempesta. E ho deciso di rintanarmi al sicuro.

Grazie, davvero, per avermi deluso.

Per aver fatto questo.

Adesso spero di poter sparire.

Non assolutamente vostro,

Chesy.

martedì 28 giugno 2011

Terza blu.

.Non leggetelo, non serve a nulla, oltre ad assorbire i pianti in un foglio che scrostato conduce le lacrime tra i baci e gli abbracci infiammati.


 
E adesso gioca a fare gli indovinelli tra le mie lacrime.
Così, per gioco. Dimmi cosa ne è rimasto, le nostre cere lacerate dai tuoi silenzi usurati, i tuoi sentimenti sverginati dalle troppe frasi morte senza ossigeno, di quelle incastrate nella gola che hanno troppo inchiostro. Dimmi cos’è rimasto di noi? Dieci anni, tre anni, due anni, cinque mesi, tre mesi. Una pagine di libro che si gira, se vuoi puoi tornare indietro a guardarla da lontano, come se fosse una presa d’esistenza, un piedistallo troppo forte, un cristallo incrinato, tenuto insieme dalle nostre lacrime. I nostri cieli. I nostri rimorsi.
E io che ci starei altri dieci anni a incastrarmi tra quelle battute finali, talmente intricato tra le a e le e troppo aperte da creare i nostri piccoli mondi vomitati dai tramonti di fine scuola, in cui ci prendevamo la mano e dicevamo… a settembre. Senza rimpianti, senza lacrime posticce. Senza le lune di plastica degli ultimi tre anni, di quelle comprato al mercatino cinese, che ci passi così tanto tempo che non si romperanno mai per il bene che le vuoi.
E io ho pensato, che se potessi in queste ultime battute finali aggiungerei sempre nuove voci, frasi, altri adii, altri anni insieme, l’infinito trattenuto sotto la presa di un pc. La tastiera che fa ttittitì.
Che poi alla fine se guardi il vento ci distacca, così, e noi che non vogliamo e che al contempo ci lasciamo vittime di tutti quegli sguardi malandati. Che incrina inevitabilmente ogni cosa, che ci sposta, rotea i frammenti dei nostri passati… e perché le lacrime si trattengono davanti a tutti, ti restano lì, a farti le doppie palpebre e ti dicono non piangere, quando esci e sei da solo le lacrime ti fanno il vestito. Le lacrime sono metafore di stelle che aprono stridore di ricordi sulla pelle, quella pelle che è il nostro cielo.
Che se lo guardi veramente abbiamo soltanto cambiato costellazione.
Che se lo guardi veramente, ci vedi passare, talvolta, quelle scie di lacrime che si tingono d’immenso, quel pianto d’intenso che è stelle, così belle. E che tra le loro effimere bugie non hanno bisogno di sentirsi belle. Lo sono e basta. Lo sono in quest’ultima notte in cui tutti ci apparteniamo a vicenda. Le tue rughe, soprattutto, le tue maldive, che sono peggio delle dive sui palchi distrutti da voci scricchiolanti. La tua pensione d’artista che ti rivendica il passato e pensarci tutto di un colpo ti rendi conto – ciccia, che insomma sei stata grande. La tue interrogazioni da paura, l’ansia di ripassare, lo studiare pomeriggi e scoprire che i tuoi occhiali saltano sempre il mio nome e dopo tre mesi s’accorgono che non ho il voto. E allora mi trovi lì, a sorridermi mentre pronunci seattle: shuttle. La tua fiducia, il tuo sorriso, il tuo essere buona e farmi attaccare a una materia che odiavo. Sai, c’erano i tuoi occhiolini, i tuoi ‘quanto sei bello’, i tuoi sguardi che mi dicevano di stare attento a te, i tuoi… i tuoi che non ci son più. Non ci saranno i miei sbadigli nel campo della palestra a mendicare i tuoi rimproveri. Non ci saranno i voti di pronuncia, i tuoi capelli biondi, il tuo ti piace la lingua, il tuo sei appiccicoso, i miei abbracci. Non ci saranno i tuoi occhiali da nerd, i tuoi sorrisi – i tuoi: gioia ma che cosa stai dicendo? Ebbene, non ci sarà il letterato della terza blu un altro giorno per te. I tuoi occhiali rosa, tutto quello che vuoi che alla fine ne troviamo sempre una nuova, una cosa in comune.
Adesso che siamo sospesi, così, per sempre.
Adesso che sono sospeso in te, e non ho parole per dirtelo. Per dirtelo così, perché tutto quello che ti ho detto e che ti avrei voluto dire non ci sono parole per riversare i tratteggi di un quadro stupendo che sono io che miro alle tue letture di poesie in maniera fulgida, così che si ricopra d’argento il sorriso di una lezione infinita. Vorrei, dovrei scriverti di più, un’intera pagine dedicata a te. Ma non ho la felicità per ricordarti con poesia. Ti dico solo che ci sarai sempre.
Cosa resta… dimmelo cosa resta tra le tue lentiggini, i nostri destini sputacchiati sul tuo volto, della terza blu? Della verde che eravamo ma poi il cielo ci ha costretti a riflettere la sua bellezza. Cosa resterà, dei nostri insieme e ci vorrebbero altre cento pagine per ricordare ogni accaduto, ogni silenzio, ogni parola e ogni sorriso.
Dei tuoi baci, del tuo parlare tedesco e dei tuoi capelli neri impigliati alla germania.
Di queste pagine, ditemelo voi se posso rimanere incastrato, un segnalibro, una nuova frase. Ditemelo che ci manca il punto finale, così vuol dire che siamo infiniti. E che allora continuiamo a scorrere per sempre.
Grazie di tutto.
Per sempre.

sabato 25 giugno 2011

stelle e strisce.

Nelle nostre stelle-lune ho visto. Ma forse perché erano di carta quando si spostavano per seguirci tra le parole... forse era perché le tue rose d’ottone catturavano il sole.

L'amore:

“Sapete, dovreste essere più buono per sentire come il mio respiro sia a spostare le vostre stelle”

Forse le stelle dalle dita lunghe hanno freddo nastri vuoto e oro…

forse sono state tagliate e messe giù perché i loro sentimenti infioccavano il vuoto.

venerdì 24 giugno 2011

lenostrepoesiesmozzicatedalle – stelle

Quando ho dimenticato il mio cielo, il mio cuore è nei silenzi delle sue vertebre, perché hai sparso la tua anima con i ritmi del vuoto –  io credo nell'amore.