Ho deciso di spezzettare i capitoli in brevi episodi, in quanto mi sono accorto che i capitoli sono lunghi da digerire e da leggere al pc. Anche se so che tanto non li leggete. Quindi, anche se ho finito il 5 capitolo e sono più o meno a trenta pagine, vi posterò più volte a settimana brevi spezzoni di due pagine.
Via.
* * *
La mattina attardava già, su un sole timidamente velato da nuvole che promettevano tempesta. Le ferite dolevano ancora, fasciate con la garza, alcune cucite dall’infermiera alla tarda serata di ieri. A volte però il dolore diveniva sommesso, sparuto, unguentato da erbe medicinali distillate. Syria aveva passato una notte tormentata da una luna svuotata di sangue, sporta come una bastarda, dalla base di nuvole che parevano lapidi distrutte, o teschi su un letto di buio. Ma nulla aveva osato sfiorare il suo pallido corpo. Che elemosinava passione taciuta e nuove scoperte, quasi una mendicante ai piedi di una chiesa.
Il corrimano era lucidato, placcato da un perlaceo tocco di cera. Il legno risaltava come uno specchio inargentato, mentre gli scalini si dipanavano ad avvolgersi su se stessi, veloci. E l’intonaco cedeva nell’aria, protratto a raggiungere l’evanescenza, polvere sollevata da una luce che serpeggiava fra i dedali del Convento.
Syria bussò alla porta, con mestizia e finta rassegnazione, mascherandosi in una scia di disgrazie che le mascheravano il volto. Il gelo del chiavistello era un arma al passato, echeggiava di ricordi perduti, ambrati nello scolorire la chiusa della biblioteca.
Madame De la Croix, con le croci appese al collo, indorate e fregiate nelle linee arcuate, rose sbocciate sulla pelle inumidita dalle lacrime dell’insana follia che accompagna la vecchiaia. E i capelli ingrigiti, filamenti in cui sfociavano serpi nere. Aveva perso i ricci anni prima, passando a una zazzera di serpi velenoso che sputavano inchiostro come veleno.
Sei forse tu? Sfrenato incanto di donna dai rossi capelli, a vorticare nella schiera del mio sadico cuore?
Son poeta e menestrello. Un bacio, mani che odono i rabbui del tuo cuore oltre un muro di ghiaccio.
«Vi porgo i miei ossequi, Madama» Syria, avvolta in una veste di tela slabbrata, chinò il corpo come una ballerina giocattolo, rotta nel suo prostrarsi.
“Avevi il puzzo di alcol, quando m’avevi preso da terra. Solo questo mi ricordo. Quante bottiglie ti sono rimaste?” Ghignò fra i denti serrati, trattenendo a stento la risata per l’aria che malcelava i calici d’idromele a untumare gli scaffali.
«Buongiorno signorina. La biblioteca non è aperta per voi sgualdrine. Avete un nome?»
“Da qui si nota la follia che pervade il cuore, conteso nella perdita della memoria. E dico, cos’è un nome? Un riconoscimento? No. Arrestare l’anima.”
«Madame, volevo che prendesse in considerazione l’idea che una Vestale, come me, avrebbe potuto dare una mano coi libri» Oh, non notate? Machiavellica finzione, gli arti gelati nella tensione di una risposta. Non notate davvero? Hai i sentieri persi in tugurio di nebbie, in cui se agguanti la nebulosa giusta, essa porta alla base di un cielo spinato, che splende d’ambrosia nella sua traslucida insicurezza. Non notate, vero? Bene, perché come ho detto, è tutta finzione.
«Il mio nome è Syria»
«Oh cara! Entrate, v’aspettavo» Madame De la Croix è arsa dal fuoco degli anni, sconta pene in un purgatorio chiamato perdizione. E se a tratti oscilla, sono solo le sue ossa che si sbriciolano in farina.
Nel volto drappeggiato dalla mollezza si voltò per accennare d’entrare, nell’atrio della biblioteca.
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