Visualizzazione post con etichetta deliri. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta deliri. Mostra tutti i post

sabato 25 giugno 2011

stelle e strisce.

Nelle nostre stelle-lune ho visto. Ma forse perché erano di carta quando si spostavano per seguirci tra le parole... forse era perché le tue rose d’ottone catturavano il sole.

L'amore:

“Sapete, dovreste essere più buono per sentire come il mio respiro sia a spostare le vostre stelle”

Forse le stelle dalle dita lunghe hanno freddo nastri vuoto e oro…

forse sono state tagliate e messe giù perché i loro sentimenti infioccavano il vuoto.

venerdì 24 giugno 2011

lenostrepoesiesmozzicatedalle – stelle

Quando ho dimenticato il mio cielo, il mio cuore è nei silenzi delle sue vertebre, perché hai sparso la tua anima con i ritmi del vuoto –  io credo nell'amore.

 

lunedì 20 giugno 2011

frrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr.

Non ricordavo dove fossero i ventricoli, poi ho scoperto che erano i tuoi sogni esplosi – le emorragie delle stelle.

 

4580460343_ee66403b1e_z

mercoledì 27 aprile 2011

Le calze sopra i ginocchi.

puddles_by_nikolinelr

E non ci basta correre nel vento, tirarci le calze sopra i ginocchi, stringere il nostro respiro attorno alle gambe, sopra un sorgere d’affanni che è il tramonto in un vento, il cadere nell’acqua. E non ci basta avere le stelle nella pancia, non ci basta più, e nemmeno rovistare in scatole di ricordi in caduta come foglie nei nostri piccoli autunni, che son segreti mai sussurrati.

Nessuna, cura, nessun antidepressivo. Moriremo per amore noi, a sfiorarci così sullo specchio rotto di un cielo geloso che ci invidia dispetti; le mani nelle tasche.

Noi, che ci stringiamo le teste coi nastri delle nostre bugie e tutte le parole non dette che ci mozzano il respiro.

domenica 20 marzo 2011

A postcard for the sky

A lei, che è il fulcro di ogni rosa, che è ogni autunno a vestire e svestire di sentimenti e peccati un giorno d’oro, un incubo d’argento.
 
* * *
Una cartolina per il cielo. Mandale i saluti di sospiri smarriti, e mille estati ancora davanti e tanti inverni sepolti in antri di te.
Mandami un cartolina.
Per il cielo.
Prima che tutto si chiuda e non rimanga che un filamento d’inchiostro tra la carcere dei tuoi silenzi. Neve, neve. Luna sbrogliata d’altri panni, vestita di ricordi come toppe dal taglio distratto, cucite addosso da una sarta orba.
- Eppure è bellissima… -
Ritorna da me, piccolo sussurro.
– Ti ho chiuso in una carta da lettera sigillata con un gemito di protesta per non dirti addio –
Sparks will fly
Beneath the luna alight,
Lazarus at Frankestein,
baby i’ll be a flightliner
for a heartkiller.



E volerà; tu, lei, tutto, sopra un cielo d’acquamarina dipinto da una rondine. Che, oh, che…
Fenice d’argento sfiorerò ogni traccia d’inchiostro che ha assaporato il crepuscolo.
“Ti ho disegnato su una carta troppo stretta per incidere, uccidere, il mio amore.”
Hai acceso una scintilla, una vampa sottile, un clamore sulla mia pelle.
– Incidimi –
– Dammi la mano –
– Moriamo –
E finché avremo soffiato tutte le stelle del cielo non sarà successo nulla. E se vedremo la sua scia, cometa, insicura, turbare il torpore malato del cielo, grideremo di piacere perché ci ha distrutto.
Non ho ancora finito di sentire il respiro di tutto ciò… Sa di sangue, sai?
Non è acido, né miele a imbrogliare le nostre lingue. È siero che ha attaccato le lettere una all’altra – fino ad ora – e non ci lascerà mai.
Sei la mia A più bella.
Vestita così, vestita di nero e di blu.
Vestita così, vestita di rosso peccato che ha sbavato leggero il nostro sentiero.
– Inquinami –
– Non ti chiedo altro –
Voglio pure che il tuo schizzo più piccolo, arte consunta nella sua poesia, sfiori i miei pensieri. Compagna preziosa di mille sospiri sussurrati per legare una frase a una stretta che percorre la tua schiena. E indugia, un istante all’altezza del cuore, impudente scivola d’amante.
– D’abbraccio –
Ho sparso tanto inchiostro blu sul tuo corpo, così quando ti sveglierai potrai seguirmi.
Potrai, inseguire, questi nastri maldestri per il tuo attacco di cuore.
– Non ti lascerò morire a lungo –
Se tu soffierai del tuo tramonto arrossato le pareti del foglio.
* * *
Hai mai ballato?
Ballato davvero, col cuore che urla perché alle caviglie si sono imbrogliate tutte le bugie dei tuoi sentimenti. In nastri d’organza.
Cosa vuoi? Tramonto spezzato.

Lei è una ballerina della compagnia caduta. Non ha mai avuto un coreografo. Né un amante che le spegnesse ogni fremito in gola. Solo note – e bottoni –.
Note e bottoni – e soffioni –.
Note, bottoni e soffioni.Buttons_by_larafairie
Raccoglie le sue vesti da terra. Sono così ruvide. Sì, sono la tela su cui hai dipinto la tua musica.
Fa un passo. S’alza su una punta, ricade, storto, dritto, volteggio! È un’approssimazione di speranza.
« Dammi un nota. »
Che sia un sol, non so, forse un do. O la fragilità di dire re-mi.
Dimmi di sì.
Allora i suoi passi fanno: la-la-la, sol, la, si, mi – fa – re – mi – do…
Qualcuno ti ha mai imbracciato tra le sue poesie… d’inchiostro?
Prendi una nota, un bottone, un soffione.
E stringiti questi fasci di luna nascente addosso.
Bum!
È solo un fiore rinchiuso in se stesso. Abbracciata da sottili tracce di penne diverse, strappa i bottoni col sussurro di do, do, do. Poi sorride.
Avvicina un bottone all’occhio. Lo spiraglio, il traforo di là dove passa l’ago. E vede, persa, dispersa, smarrita. Sarà un altro mondo.
Una parola, una frase, una lettera che sia.
Mutare nel caldo bacio di poesia e lasciare ancora tesi filamenti a terra. Prendili, prima che finisca.
– Si – do – re – mi – fa – sol – la – si.
«Hai mai sfiorato
Le lettere del tuo silenzio,
e rotto ogni pensiero velato,
e avvolgere gli strascichi bugiardi
di questo volo,
sa d’assenzio.
E meraviglia dal sonno malato.
Svegliati, oh mia ballerina, sopra
Il letto solo aghi di morfina,
nel tuo cuore solo cenere di petardi
scoppiati ai tuoi passi
sempre più insicuri
sul mio corpo,
e chiudi gli scuri
che sarà solo il tarpo
di questo fiato.
– Allora, mi hai mai sognato? – »
* * *
Qualche giorno dopo Tempesta dette Neve, e Neve dette Furia. E la ballerina, rinchiusa in stanze di sé, aprì la lettera. Un ammiratore sconosciuto, una fiaba infame, una storia riversa sul lago della sua vita.


La ballerina della compagnia caduta raccolse le sue vesti d’amante, di strega, di fata perduta, allora. Raccolse la sua stessa orchestra, frattaglie d’oro a rompere note di legno, e partì. Per dove, ancora, non sa. Con chi, forse è un miraggio che fracassa il silenzio e gli sussurra attimi di speranza al sangue ormai arido.
Voglio strappare l’ultimo gemito di passione alla luna.
E forse legheranno le loro mani, e forse si getteranno… Oh! Che paura, li vedi? Caduti come immigrati nel cielo in un sogno di polvere. Chi è costei, che li accetta? Un bacio di luna tra le coltri di cenere e gelo. Un soffio d’argento in un lenzuolo d’alba sbiadita. Cancellata.






















































































venerdì 18 marzo 2011

Nel sorgere delle tue poesie sarò solo un manichino in una tempesta di sole.

martedì 1 marzo 2011

Vi racconterò una favola.

E vorrei partite con: c’era una volta, se permettete. C’era una volta un papavero mutato in siero d’amore e disfatto nel vento.

Fine.

Avrei bisogno di un appiglio in più, tendetemelo dall’infinito di questa inconsapevolezza… di questo essere stupidi, illogici; ho venduto il mio occhio sinistro al diavolo.

Vedo solo le emozioni e mi distruggono. A volte, però, decido che è meglio chiuderlo e proteggermi da altre che non vorrei cucirmi addosso.

Oh Katherine,

l’hai vista… quella stella?

Morirà, sfiorita con un traccio di matita sulla tua schiena, sarà un bottone da cui si sbroglieranno questi filamenti di passione ad annientarti in un limbo che t’ho costruito, per guardarti da lontano.

Crack.

La teca s’infrange.

Un sussurro e sfumi in un fiocco bugiardo sopra le labbra.

Ho provato a sfiorarle, ansioso, ho provato a rubarne il mio amore, ma… un fil di stoffa sottile poneva le basi di questo odio.

Katherine, morirai. Morirò. Moriremo. Di cosa, però, ancora non so.

giovedì 17 febbraio 2011

Riot

La notte dei deliri è ciò che viene chiamato alcol d’ispirazione. Pochi giorni fa’. Io e Francy, malinconia, tristezza e nuovi animi corrotti. Una chiacchierata in chat ha scaturito dei deliri. Ho deciso di rimodellarli, allungarli, inserire altri paragrafi per renderli più complessi.

Le parti in bianco sono le sue, quelle in blu le mie. Ma io ho scritto alcune sue parti nella nuova versione. Ad ogni modo, è una mistura d’immenso. Una metafora di speranza.

E così comincia Riot, i deliri di un punk poetico e di una malinconica, che viaggiano… viaggiano su altri piani affastellati da adrenalina. Dalla voglia. Che è di cadere. Non di volare.

div02

Voglio completare l'adolescenza assieme a te, buttandoci da un ponticello di Venezia, mano nella mano, e gridando qualcosa di rock con la voce che si è corrosa l'animo appresso. E ora raspa come una caverna.

I canali veneziani sono inquinati.

Ma questo fa rock.

Vorresti rimanere impigliato fra le fondamenta d'alghe di una piccola Atlantide senza speranza?

Sì, oppure no. Però… qualcosa di simile.

Io andrei a Carnevale, vestita di nero, e romperei dieci maschere in piazza San Marco. Poi fuggirei e fra il tintinnare dei vetri soffiati di Murano salirei sulle ali di una gondola, in punta di piedi sulla parte più alta per sfiorare con il naso il fondo umido di pietre grigie di ogni singolo ponte. Una volta raggiunto il mare, solo allora mi butterei per sapere di sprofondare in un’immensità in cui non si può essere soli.

Ci sarò io con la maglietta blu scuro, maniche corte nel più gelido inverno, una faccina triste gialla stampata su e jeans troppo stinti, quasi bianchi, laceri e lerci come un fondale di fogna. Io che faccio le corna da dietro la schiena al gondoliere. E…! È forse, il forse, l’emblema, la sbronza di perdere per un attimo l'equilibrio, ma poi tutto si rovescia, è apposto… È per provare l'ebbrezza di cadere veramente, col cuore, con la mente, per sfregiare l'essenza incrostata di silenzio pesante. Come se ciò che cadesse fossi tu soltanto.  E per sempre. Come calcinacci da un muro sradicato dall'anima. Fine.

«Mi dici fine?»

«Forse.»

«Cosa forse?»

«Alle stelle servirebbero dei preservativi per danzare più sicuri, come nastri per reggersi ancora in cielo e non impattare con tavolati dei sogni.»

«Ma tanto c’è… la carta di imballaggio che li protegge.»

Vi passerei la mano sopra, le palline, sfiorandole con la tristezza, sfiorandole con l’ago delle spille da balia rimaste incagliate al vortice di amori diversi, tracciati sulle mani dagli occhi orbi di una zingara. E se scoppiamo è perché abbiamo amato troppo. Amiamo lei, che persa, spremuta su una grattugia, è l’amicizia. Idolo di sangue. Scorze di mele, acido di limoni e sentiero di arancia marcia.

***

Io andrei a piedi sin da lei, strappando lavande al mio passaggio, infuocando il grano con la benzina

E la schiena rotta dalla pioggia, e la bocca impastata di capelli d’altre, altri

E il silenzio che preme sulla lingua come cenere.

* * *

Art_is_Dead__by_PropaneN_ButtascotchHo preso un tram e guardavo le stelle fuori per sputar loro in faccia neve e sangue, e le converse coi buchi affondavano la loro marcia sul cuore.

Dille che… il suo cuore è un palloncino adagiato su una lettiera d’aghi, e miele sopra ch’attira le ali, e lavande sterminate. E che per lei una cinta di silenzi e ghiaccio le crepa il volto in rughe di specchio. Passato e presente, valanghe di miseria e schiaffi; si può essere soli, assieme, insieme, un campo di concentramento per scabre crisalidi bastarde.

Dille che ho messo un orso dentro una voliera e falle vedere la tua mano intrisa di sangue, mentre percorri le mie guance con le ossa della barba.

Sei un maledetto, se le dico questo, vorrà sapere il resto, e se le dico che in vero è per te pensa che noi ci amiamo e…

Fanculo, dille…

…e questo è sbagliato. Dille, dille, dille cosa?

‘Fanculo.

Mentirei due volte.

Mi sento bene, così pieno di droga, così pieno di cinismo, di vita.

La vita... Io sento che la mia si sta diluendo come un colorante nell'acqua, e se seguo le tue parole si riempirà di veleno. Sei il mio veleno più dolce.

E tu fiele d’amaro sogno. Vomitata sul campo di un universo ingoiato a forza. E spari di dolore, polvere da sparo a crivellare fogli di storie novelle imbiancate.

 

***

Sono le ispirazioni, sono che voglio staccarmi dal mio essere, non voglio poesia, voglio più questo, più follia, più qualcosa che gratta e non smorta. Voglio me stesso, lo sfacciato me stesso.

Dì che hai ricevuto un delirio e hai dato un mazzo di lavande secche, perché io le ho detto di aver ricevuto quelle. Se proprio vuoi uccidermi, fallo con classe.

Posso davvero? Mi permetti l'onore, come mi concedi la mano e invece ti sfilo l'anello…

Sei crudele, non so cosa vado cercando permettendoti di fare certe cose. Anzi, forse lo so, e forse non mi sta più bene. Hai il mio cuore nelle tue mani, fanne quel che vuoi.

No. Non voglio dirle nulla, se non vuoi. Il problema è che sei troppo perversa per capire…

Per non volerlo.

…cosa ti farebbe piacere, e per non volerlo.

Dillo, in maniera bella, con classe. Dillo, a tratti.

Dillo come se ti cadessero le parole dalla bocca, dalle dita, tasti consumati caduti nel tè bianco.

***

 Non credo che capirà tutto. Verrà a chiedermi spiegazioni, e io… io parlerò, se è questo che vuoi.

Per forza?

La forza è una stronza partorita da una bolla soffiata dal naso di un orco.

Mi sarei bruciato le punta delle dita per possederla.

Le costole a sassate e sfiorare stelle con le antenne per…

No. Parlerò perché è meglio non mentire, né avere segreti.

E se non l'invio, parlerai?

Se non l'invii, resterà tutto così, sospeso, e io non troverò il coraggio di abbattere questo muro.

E tu cosa vuoi? Una spinta…

Voglio che mi getti giù dal burrone. Dimmi quando posso cominciare a volare.

Ora. Ti aspetto giù, per prenderti in braccio.

Prima bugia svelata. Devo cadere ancora?

E allora cadiamo giù. Destinazione bollicine d’alcol, unico appiglio che vive sospeso su isolotti come capocchie di spilli infilati sul cranio di una rossa riversa in un lettino, il capo staccato dal collo.

Ho scarabocchiato un bacio di luna sulla tua caviglia, mentre dormivi accanto a me in una cabina telefonica, che strillava asilo per gli immigrati del cielo.

***

Prendimi! Ora, o muoio.

Presa. Oddio, le mani quasi cedono e i tasti si consumano appresso. Quindi?

Ho bisogno di te. Cos'ho fatto?

Nulla. Solo onestà, solo sfrontatezza. Solo andare al confine, con un fascista che ti punta la canna dentro la gola e scoprire che è bello. Tutto. L’avventura. Ridere di Morte e le sue comari, che come vecchiette indecenti, fanno schedine sulla gente.

E allora… perché? So perché, ma ora mi sento ancora più vuota, ho ingoiato coriandoli di fuoco.

Vuota è quando ti sei tolta tutto dentro, perché eri troppo pesante. E… oh dio, ho mozzicato le stecche del tuo stomaco.

Voglio aspirare la diossina che è salita, una ciminiera d’odio, dai bruciori infernali.

E allora, se mi sono tolta tutto, c’è ancora qualcosa che resta. Voglio affondare, perché solo così, secondo il giudizio di Dio, nella mia ordalia risulterò innocente.

Davvero?

Sì.

Ma è una cosa tanto brutta, quanto rubare una stella al cielo e scoprire che è reato, scritto a penna sull’ultima pagina di un libro di codice penale?

No, è bellissima, se resta solo mia.

Cosa?

Il peso che ho ancora dentro, quello che tace e che mi fa andare giù, una sirena dalla coda di piombo.

E allora fa sì che rimanga bellissima, e stavolta non sarai assolta… Ma solo per oggi, perché alla fine è solo un foglio che sta per essere bruciato. In fondo… in fondo, il colpevole sceglie la sua pena.

Ma non la sua colpa.

Vuoi essere assolta o giudicata? Che devi fare, lo sai che il dito più lungo di un giudice è sempre l’indice? E quello di un nazipunk è il medio…

Niente, devo restare così, sul fondale. Voglio che sia così, ancora per un po’.

Ed è bellissimo, perché adesso il linguaggio è un mucchio di bolle.

*  * *

Ho visto un treno correre. Alle ruote sono impigliate le ortiche. Ai finestrini rotti, le mani staccate dai corpi di zombie svuotati dal sangue e residui di plasma dentro le vene, tra le mani, fra una cucitura che squarcia le braccia, dentro agli occhi.

Un mucchio di deliri concatenati a un bisogno troppo forte di vodka alla menta e di Russia. Di casinò che in verità è un po' casino.

E che sommariamente, uno scritto? Un delirio, un ciao e un abbraccio troppo forte da stampare addosso profumi che non staccheranno mai la presa dai colli.

E che sia.

Il più bel regalo, quello del per sempre.

Promettimi che lo farai. Non per scherzo. Non stavolta. Non è una presa in giro.

Non è amore.

È affetto. È dirsi, scrivimi per sempre prima che scappi sotto il viale.

Ho ricevuto quattro fogli di diario e un anima d'inchiostro allegata.

 

«Hanno ucciso il gatto della bambina dei viali. Infilzato sull’antenna del paradiso.»

 

Ma lei non è mai scappata.

 

venerdì 11 febbraio 2011

E il mondo finisce

Ho provato ad averti, desiderarti, ho infilato un nastro d’alba tra l’ansito e l’altro del nostro di stacco. E ora corriamo, il tuo calore scinde le ore come fere d’inferno, d’inverno, e trapassi coltri instancabili, calme, così fragili che sotto la presa delle tue orme crepano gentili.

Imbraccio una candela, esasperante, che arde le brucianti anse di una strada, più larda, di un’ora più calma, vibrante. Mi sento un filamento bramoso di corrente tra le mani di qualcun’altro. Se stringe ancora di più, la crepa falcia l’inclinazione nell’ombra e la face avvizzisce come lavande di cristallo cadute.

Vuotamelo ancora, l’elisir dei tuoi occhi.

Meno un giorno, – qualche ora – devo solo aspettare pomeriggio. E il mondo finisce.

the_lovely_bones_by_phatpuppy-d39aeod

make_music__by_thezgi-d39aach

mediterranean_wind__by_m0thyyku-d38j9pi

red_rose_by_basistka-d39ag2n

3de810ec3b90bc017efd6931920573a8-d38jf2v

I Can Wait Forever. Ma il tempo è scaduto e la coreografia sta per mettersi in piedi da sola. Un, due, tre!

 

Brap- bra-p, brap-brap-brrraaaap!

sabato 15 gennaio 2011

I Can Wait Forever 4

La corrispondenza continua, ancora, forse per sempre. E’ sul blog di Francy che potete leggere la risposta alla mia lettera, e più sotto la mia.
the_love_that_I_lock_within
12/02/1823 – Seconda lettera alla mia amata.
Parigi.

Oh, mia dama, che quel filo rosso di cui v’avevo parlato non imbrogli davvero il nostro fato? E che esso sia sgraziato non v’è dubbio.

Notre-Dame è una stella scesa in cielo, di quelle infervorate dai sospiri della mezzanotte. E mentre questa scoloriva i suoi panni oramai usurati, è dentro al mio core che s’aperta una frattura.

Stamane, il nitrire dei cavalli fu il tristo annunzio della mia partenza. Con tal rammarico ve ne chiedo venia, che il vostro solerte animo non disdegni ciò che mi spinge a farlo.

Parto col respiro asciugato in ciò che scrivo, sulla mia grafia è dove passa il vento. Poiché ebbi la sacrale notizia di mia madre, che reclama il mio nome al suo capezzale morente. Mi sento quasi in imbarazzo a confidarlo a voi. E pure è tutto questo che posso fare, celarmi dietro la vostra ira che scalcerà ai portoni della mia residenza. Ho paura, mia signora, che quando voi arriverete agli spalti di questa città, io sia già troppo lontano per udire ancora il romore del vostro battito.

Ora vi scrivo, il calamaio stretto tra le cosce, sulla condensa di questo finestrino che frappone il mio sguardo al mondo. Bagna il retro di questo foglio, così sottile. A vostra differenza, non ho valigie su cui incidere le mie sentenze, non ne ho portate. La fretta che mi ha ingiunto il grave stato di mia madre ha indotto a portare solo le carte della mia novella, racchiuse in una sacca di camoscio marrone, e fogli bianchi a cui è stato estirpato quest’immaturo su cui ora scrivo. L’altri fogli, casti del mio inchiostro, saranno impregnati dal dolore di questa imminente morte. Il dolore di una, ahimè, certa morte a cui vado a porgere i miei ultimi saluti. Ma sarà un attimo, ve lo giuro, mia dama.

E ancora gli attimi che ci separano sono infiniti. E non è forse vero che un attimo è per sempre?
Londra, mentre osservo questi fiocchi di neve che scendono giù dalle stelle, è l’angosciosa sorte a cui vado incontro.

E che sappiate perdonarmi. Stringere il nodo della benedizione attorno ai pensieri che mi concederete, che sian lieti o mesti.

Oh, addio, monna musa!
Addio! Addio!

POST SCRIPTUM: Speditemi le vostre lettere a Casa Hinchinghooke, nell'amata Londra a cui sto per far ritorno. Al mio arrivo, avrò modo di leggerle.

Ho ancora bisogno dei vostri umidi baci, non scordatelo.

domenica 12 dicembre 2010

Riscoprire

Mi rendo conto di postare molto poco negli ultimi tempi. E' che non sono particolarmente affetto da turbe psichiche, quindi non ho tutta la giusta ispirazione che servirebbe. Però almeno, per una volta sto riprovando la bellezza di rimanere incollato avanti alle pagine di un libro. Non mi succedeva da non so quanto, quel vago senso di curiosità in fondo allo stomaco, di gioire di fronte al romanticismo di una vampiro e alla tetra e misteriosa oscurità dell'altro, o altro ancora come lo scontro tra i due protagonisti, battute esileranti e taglienti che profilano un romanzo che merita di essere letto. Quindi, vi consiglio di comprare Black Friars, l'ordine della spada, di Virginia De Winter e cercate di non farvi spaventare dalla mole sterminata di pagine ^^', quantomeno potrete preoccuparvi in quanto attentatore alla vostra salute, a molti è caduto in testa o sulle mani e vi assicuro che fa molto male. Dopo queste inutili divagazioni continuo il mio falso studio e poi... beh, torno al terrorista u.u

lunedì 22 novembre 2010

quando non hai niente da fare e la lettura comporta solo stati a dir poco deliranti...

Mi rendo conto che ogni parola stimola un fascio cerebrale, ciò induce a pensare tante, troppe, cose.
Così come se pensiamo al suono di una parola, stimola; altroché. Pennello può essere intravisto come un albero dalle sfumature aranciate, con lunghi rami che odorano di cinnamomo, e mani che si aprono in foglie di carta ingiallita munite da anelli che sono grossi rampolli di succo d'arancia deflagrato. Questo è un pennello: lo stimolo percettivo dei sensi che produce una cornice dalle sfumature inquietanti, associate ai nostri desideri, al nostro vissuto.
Così come la parola White è una libreria dentro un faro, spazzata da una brezza satura di sale, dove una dama spolvera i suoi vecchi romanzi. Al contempo il faro è uno stendardo disperso tra lidi di finissima sabbia bianca, su un mare che profuma di anice muschiato. E così come il nome Gloria Winter è un fiume di cenere che scorre troppo veloce per riuscire a percepirne i movimenti, anche nei momenti di piena il fiume non sbava, altroché, solca dritto per la sua strada, imperterrito a batterla nell'ordinario riposo della sua esistenza. Al contempo però esso si trova costellato da una terra brulla, marroncino scurito, qualche ciuffo affiora di rado, ribelle e di un verde giovanile e insistente.
Potrei dilungarmi ancora per molto, ma lascio un chicchessia volere di sfogo percettivo ai vostri neuroni.
Arrivederci,
Chesy.

mercoledì 10 novembre 2010

A_broken_dream_by_hellobaby

E se fossimo solo illusioni?

------ 

I walk this empty street
On the Boulevard of Broken Dreams
Where the city sleeps
and I'm the only one and I walk alone

Green Day, Boulevard of Broken Dreams

martedì 9 novembre 2010

i

ragazzi, non mettete mai i puntini sulle i. Sono solo palloncini sospesi all'aria; sono i nostri sogni.

sabato 23 ottobre 2010

Eleanor Rigby

Ah, guarda tutte quelle persone che restano da sole 

Ah, guarda tutte quelle persone che restano da sole 



Eleanor Rigby raccoglie il riso che è stato lanciato a un matrimonio. 

Vive in un sogno. 

Aspetta alla finestra, ha lo sguardo che di solito conserva in una brocca 
dalla porta. 

Per chi è? 



Tutte quelle persone che restano da sole 

Da dove vengono? 

Tutte quelle persone che restano da sole 

A che terra appartengono? 



Padre McKenzie sta scrivendo un sermone che nessuno sentirà 

Nessuno viene qui (vicino). 

Guardalo lavorare. Rammenda i suoi calzini in una notte in cui non c’è 
nessuno. 

Cos’è che gli interessa? 



Tutte quelle persone che restano da sole 

Da dove vengono? 

Tutte quelle persone che restano da sole 

A che terra appartengono? 



Ah, guarda tutte quelle persone che restano da sole 

Ah, guarda tutte quelle persone che restano da sole 



Eleanor Rigby è morta nella chiesa ed è stata sepolta in lungo con su 
scritto il suo nome. 

Nessuno è venuto (a vegliarla). 

Padre McKenzie si pulisce le mani sporche mentre cammina vicino alla tomba. 

Nessuno fu salvato. 



Tutte quelle persone che restano da sole 

Da dove vengono? 

Tutte quelle persone che restano da sole 

A che terra appartengono? 

mercoledì 20 ottobre 2010

«Mi prometti l’incanto?»
«Un nodo, un sigillo di promesse, come una rosa bianca tinteggiata col mio sangue»
«Cos’è una promessa?»
«Una candela»
* * *
Ok. Torno al compito d'italiano, di cui questo è un estratto. Non prendetemi per pazzo, il tema era casualmente l'amore. Ma non quello vissuto, quello a prima vista, quello che sboccia nel profilo di occhi che s'incontrano. Nel profilo di un carezzare blasfemo il desiderio.Ok.Non sono normale.-Comprendo.

domenica 17 ottobre 2010

Ma perchè le cose vanno bene solo agli altri?
Non posso trionfare mai?
...
...
...

-E' solo questione di tempo e pazienza.
-Certo.
-Di fortuna, aggiungerei.
-Certo.
-La dea bendata è più bendata del solito.
-La solita sfiga.
-Certo.
-Ammuffirò nel tempo.
-Certo.
-Nemmeno un po' di conforto eh??
-Comprendo.
-Io no.
...
...
...
-Forse è proprio l'incomprensione a sfumare i contorni delle mie idee.

sabato 16 ottobre 2010

Madame: Ocean Meadow

C’era il mare. Come il sole e le stelle. E c’era la sabbia, dipinta da setole morbide sul tracciarsi della risacca. Morbida, anelava nel gelo superstite, giorni d’acciaio.
Il vento soffiava da nord. Sempre. Come l’alba mattutina.
Madame aveva un pugno, e in quel pugno aveva stretti ottant’anni di vita. La brezza sciolse di salsedine le dita, che s’aprirono mentre gli anni scorrevano. In granelli di sabbia.
Madame intinse le dita, come morbide setole di pennello, nel mare. L’increspatura si frangeva in uno specchio, rifletteva ottanta anelli di fragile acqua. Madame aveva ottant’anni, come la brezza che soffia sempre da nord, e che in quel mare – come oceano di prati abbandonati – oscillavano, sfumando i contorni d’un cielo d’avorio.
Madame aveva ottant’anni. I grani del suo rosario erano ottanta, come i fori del suo scialle violetto, come il silenzio del vento che taceva nel rimorso che quest’ultimo s’avrebbe portato con sé, anche l’ultimo giorno intinto d’acciaio.
Ma il vento soffiava da nord. E questo bastava ad imbevere drappi perduti nell’ebbrezza del mare – come oceano di prati abbandonati – il sapore di un’estasi, ch’avrebbe portato con sé – fatale – anche Madame, col sonoro mormorare animi nel vuoto di solitudine del vento.
Il vento porta con sé morti. Riscatto di solitudine?

* * *
NdA: Scritto sulle fascinose note di "Oceano Mare". Volevo proporvi un contest, più che un contest un confronto fra voi lettori, se volete partecipare, a tema vento-solitudine. Potrebbe venir fuori qualcosa d'interessante. 
Intanto esalo con un sospiro la solitudine di un sole piangente.

domenica 10 ottobre 2010

Infiorata

quando_si_fa_buio_by_Frugola

Mi concedi il tuo dolce volto, come corolla d’un fiore, al mio sguardo?

Lei è là, come un sepolcro imbiancato. Nient’altro da dire se non che tra le mani s’infiorano orchidee cremisi, filamenti bramosi accorrono alle porte del cuore. E chissà perché di quel rosso peccato son pure i suoi capelli, così nostalgici che s’infiorano essi stessi di rose calma passione, di rose Crepuscolo.

Quello stesso crepuscolo in cui vidi il tuo volto sfiorire di pallida brina.

Avevi la malia di chi frammenta le speranze lacerando stralci di vita.

Avevi il destino fiutato sui Tarocchi.

E io dipingevo il tuo volto, su tela.

Forse per ricordarti, per intingere della mia vera passione farfalle vermiglie ad infiorare il tuo nome.

* * *

«Qual è il tuo

nome?»

«Syria.»

Sa come lame crudeli di fragile cera.