martedì 28 giugno 2011

Terza blu.

.Non leggetelo, non serve a nulla, oltre ad assorbire i pianti in un foglio che scrostato conduce le lacrime tra i baci e gli abbracci infiammati.


 
E adesso gioca a fare gli indovinelli tra le mie lacrime.
Così, per gioco. Dimmi cosa ne è rimasto, le nostre cere lacerate dai tuoi silenzi usurati, i tuoi sentimenti sverginati dalle troppe frasi morte senza ossigeno, di quelle incastrate nella gola che hanno troppo inchiostro. Dimmi cos’è rimasto di noi? Dieci anni, tre anni, due anni, cinque mesi, tre mesi. Una pagine di libro che si gira, se vuoi puoi tornare indietro a guardarla da lontano, come se fosse una presa d’esistenza, un piedistallo troppo forte, un cristallo incrinato, tenuto insieme dalle nostre lacrime. I nostri cieli. I nostri rimorsi.
E io che ci starei altri dieci anni a incastrarmi tra quelle battute finali, talmente intricato tra le a e le e troppo aperte da creare i nostri piccoli mondi vomitati dai tramonti di fine scuola, in cui ci prendevamo la mano e dicevamo… a settembre. Senza rimpianti, senza lacrime posticce. Senza le lune di plastica degli ultimi tre anni, di quelle comprato al mercatino cinese, che ci passi così tanto tempo che non si romperanno mai per il bene che le vuoi.
E io ho pensato, che se potessi in queste ultime battute finali aggiungerei sempre nuove voci, frasi, altri adii, altri anni insieme, l’infinito trattenuto sotto la presa di un pc. La tastiera che fa ttittitì.
Che poi alla fine se guardi il vento ci distacca, così, e noi che non vogliamo e che al contempo ci lasciamo vittime di tutti quegli sguardi malandati. Che incrina inevitabilmente ogni cosa, che ci sposta, rotea i frammenti dei nostri passati… e perché le lacrime si trattengono davanti a tutti, ti restano lì, a farti le doppie palpebre e ti dicono non piangere, quando esci e sei da solo le lacrime ti fanno il vestito. Le lacrime sono metafore di stelle che aprono stridore di ricordi sulla pelle, quella pelle che è il nostro cielo.
Che se lo guardi veramente abbiamo soltanto cambiato costellazione.
Che se lo guardi veramente, ci vedi passare, talvolta, quelle scie di lacrime che si tingono d’immenso, quel pianto d’intenso che è stelle, così belle. E che tra le loro effimere bugie non hanno bisogno di sentirsi belle. Lo sono e basta. Lo sono in quest’ultima notte in cui tutti ci apparteniamo a vicenda. Le tue rughe, soprattutto, le tue maldive, che sono peggio delle dive sui palchi distrutti da voci scricchiolanti. La tua pensione d’artista che ti rivendica il passato e pensarci tutto di un colpo ti rendi conto – ciccia, che insomma sei stata grande. La tue interrogazioni da paura, l’ansia di ripassare, lo studiare pomeriggi e scoprire che i tuoi occhiali saltano sempre il mio nome e dopo tre mesi s’accorgono che non ho il voto. E allora mi trovi lì, a sorridermi mentre pronunci seattle: shuttle. La tua fiducia, il tuo sorriso, il tuo essere buona e farmi attaccare a una materia che odiavo. Sai, c’erano i tuoi occhiolini, i tuoi ‘quanto sei bello’, i tuoi sguardi che mi dicevano di stare attento a te, i tuoi… i tuoi che non ci son più. Non ci saranno i miei sbadigli nel campo della palestra a mendicare i tuoi rimproveri. Non ci saranno i voti di pronuncia, i tuoi capelli biondi, il tuo ti piace la lingua, il tuo sei appiccicoso, i miei abbracci. Non ci saranno i tuoi occhiali da nerd, i tuoi sorrisi – i tuoi: gioia ma che cosa stai dicendo? Ebbene, non ci sarà il letterato della terza blu un altro giorno per te. I tuoi occhiali rosa, tutto quello che vuoi che alla fine ne troviamo sempre una nuova, una cosa in comune.
Adesso che siamo sospesi, così, per sempre.
Adesso che sono sospeso in te, e non ho parole per dirtelo. Per dirtelo così, perché tutto quello che ti ho detto e che ti avrei voluto dire non ci sono parole per riversare i tratteggi di un quadro stupendo che sono io che miro alle tue letture di poesie in maniera fulgida, così che si ricopra d’argento il sorriso di una lezione infinita. Vorrei, dovrei scriverti di più, un’intera pagine dedicata a te. Ma non ho la felicità per ricordarti con poesia. Ti dico solo che ci sarai sempre.
Cosa resta… dimmelo cosa resta tra le tue lentiggini, i nostri destini sputacchiati sul tuo volto, della terza blu? Della verde che eravamo ma poi il cielo ci ha costretti a riflettere la sua bellezza. Cosa resterà, dei nostri insieme e ci vorrebbero altre cento pagine per ricordare ogni accaduto, ogni silenzio, ogni parola e ogni sorriso.
Dei tuoi baci, del tuo parlare tedesco e dei tuoi capelli neri impigliati alla germania.
Di queste pagine, ditemelo voi se posso rimanere incastrato, un segnalibro, una nuova frase. Ditemelo che ci manca il punto finale, così vuol dire che siamo infiniti. E che allora continuiamo a scorrere per sempre.
Grazie di tutto.
Per sempre.

1 commento:

  1. Nonostante il tuo avvertimento, l'ho letto lo stesso, ovviamente. E continua a dire che sono innamorata delle tue parole.

    Un abbraccio, Isa.

    RispondiElimina