30 Maggio 1823, Valensole.
Bugie. Solo bugie. Bugie i conduttori tra i campi del sogno, coloro che gli tengono la mano, insidiosi, scivolano, intatti. Crisalidi di gelo, amanti di vetro che prendono forma, mutano nella compostezza perfetta di una scultura di marmo, estasiata finemente, sbozzata da aneliti soffocati.
Evangeline sente una morsa sradicarle lo stomaco. Porta le mani in grembo, il ventre scosso da battiti perpetui, ferrati, ora mischiati al suo tossire. Il cappello in tralice sul capo, i riccioli rappresi di acqua sul volto. Il ricadere di pioggia nel fosso del nulla.
Il piede lascia il predellino, il tacco che scivola sulla superficie legnosa, un ticchettare quando impatta col suolo. Un suolo bagnato, in cui sprofonda, fangoso. Una liberazione che parte dal cuore, reciso a metà, sfiora i confini di lui. Sì, lui. Byron, col petto raccolto in un nodo d’orgoglio impossibile da trattenere, che a scioglierlo nemmeno le sarte del re, solo la dedizione delle dita di lei avrebbero potuto armonizzare nel tocco più alto di una scala musicale, l’infinito della felicità.
Lei gli stringe un mano e lo trascina verso l’esterno della carrozza. La notte, intanto, li avviluppa come sogni nel corteo di strascichi e candidi veli, rimangono impigliati alle fibre di trame, tra un filo e l’altro, stretti nel proprio destino, forse per rimanere incompiuti.
I loro respiri affannosi s’imbrogliano l’uno all’altra, legandosi come due bambini che corrono all’impazzata, giù lungo il vialetto per arrivare al negozio di dolciumi, il venditore che li aspetta, più famelico di loro.
«Byron, lo sento, il filo rosso, mi sta tirando.» Evangeline bisbiglia nel vento, il suo sguardo non è mai giunto così lontano.
«L’inganno, scivoliamo, ce lo avvolgiamo attorno. Con calma, che sarà la nostra morte.» Il freddo che li riveste come guanti di fine pizzo, li trafora, ogni insidia trasuda fra uno spiraglio e l’altro. Ed è melodia, tutto questo, tutto ciò che muta e si disperde nell’aria, accorda ogni loro mossa. C’è già un angelo che raccoglie i filamenti della loro composizione. Unica. La migliore.
«Guardale, le lavande. Sono sbocciate, e non è così bello, un pianto dal cielo che gorgoglia dal cuore, la fonte di un infinito impossibile da raggiungere. E se vuoi lo possiamo rincorrere e riderci, ridere del nostro essere sfacciati. Sei l’alito, la voce più dolce, che suona accanto a me.» Byron pare un soffio d’armonica, una croma con l’uncino che stilla la felicità col miele più dolce, in fondo la polla di luce che accoglie ogni desiderio taciuto, ogni reietto perduto.
«Ti amo, mio Byron.» Con la sua voce che sfoca i tratti della realtà, s’affina la chiusa di ogni sussurro.
Le lavande. Una due, tre, infinite spighe accolte nel grembo di una madre impaziente. Le loro gambe che ardono, un andirivieni di cuori, la requiem dei loro passi è il segreto di ogni animo errante. Gli steli, così tanti, un’infiorata di ametiste in frantumi, la scalata di note, il fallimento di un’orchestra indecente. Le ballerine, nei loro tutù, sfioriscono scomposte sul palco della loro ferma esistenza.
E allora corrono.
Tac-tac, tic-tac, tic-tic, tac-tac. La pioggia che ride di loro.
Ogni singolo gambo, ogni singolo fiore che forse ora sboccia nel momento in cui esso sfiora le loro vesti, e loro continuato, combattono ogni onda violetta che gli s’infrange contro, nella marea di mazzi soffici, fanno attrito contro le gambe. È un frusciare confuso, frammisto alle risate concitate e sguaiate disperse nell’aria, i loro passi attutiti nel manto. Scappano, fuggono. Evangeline sente la mano di lui chiudersi nelle dita, stringere forte per stornarla a sé, e lei s’avvolge come una spirale tra le sue braccia. Ora sente il suo respiro caldo sul collo, la pioggia solo la spettatrice più casta che non dirà mai niente a nessuno, che oziosa ricade sui loro occhi, le labbra allargate e appassite. Ora lui abbassa lentamente il capo, il contatto della bocca col suo collo le strappa un brivido fugace che si diparte dalla schiena. Si aspetta il bacio, ma lui indugia, inala la fragranza che fa la pelle della sua amata: crisantemi d’acquasanta cosparsi e fiele ricavata da rose malate.
Le mani di Byron di legano come un lustrino suadente attorno alla vita. Evangeline s’inebria, si sente un arpa pizzicata da Dio. Poi uno scossone e il cuore fa un tuffo all’inverso. Cadono, tra gli sbuffi ridenti e giocosi. Il corpo di lei sopra il petto di Byron, muove le gambe all’aria, scalcia, mentre la gonna s’apre a campana.
Le mani frattanto si cercano e si trovano, il calore che contrasta la pioggia li conforta.
E ora guardano, perché il cielo non ha mai avuto così tante stelle. Tante che le loro dita inseguono la novizia che ora come una candela, s’accende nel firmamento. E pian piano la loro gioia si confonde, con il cielo, un quadro denso, è petrolio quello che li trascina nel sogno. E là immaginano che il cielo sia solo un tetto al contrario, e di scrivervi i proprio sogni, sbocciati in stelle, da scagliare a proprio piacimento nell’immenso.
E forse, per la prima volta, s’amano. Con un bacio e una carezza. Ma è così puro il momento che nemmeno il ricordo riuscirà a intaccarne la perfetta intimità. Un altro, misero fotogramma con una crepa nel centro, carta cadente di momenti felici.
Poi qualcosa sfugge, una nota incrinata, di quelle stonate, l’estro dell’orchestra caduta che risuona in solitudine la propria disperazione.
«Touchè» Gli amanti che sfiorano il cielo.
Ti sfioro, mio amore, tolgo anche l’ultimo ciglio al pesco in cui mi tieni nascosto.
Il loro amore è come un nastro d’alba infilato tra l’impercettibile silenzio di un battito e l’altro.
Il mio cuore non fa un tuffo all'inverso, fa capriole! Non so cos'è che mi fa amare così tanto questa storia. Più l'amo, più diventa bella, più si trasforma in questa meraviglia nascosta.
RispondiEliminaSegnalazioni:
- "Bugie i conduttori tra i campi del sogno, coloro che gli tengono la mano": Bugie è femminile, non andrebbe meglio conduttrici? Gli non mi sembra adatto, se le bugie tengono la mano sia a Eva che a Byron, allora andrebbe "li"... perchè il pronome "gli" non so proprio a chi potrebbe riferirsi - se sbaglio io, allora rendilo esplicito.
- "non è così bello, un pianto dal cielo che gorgoglia dal cuore, la fonte di un infinito impossibile da raggiungere": ci va un punto interrogativo alla fine, se utilizzi il costrutto "e non è..."
- "la requiem": requiem è maschile
- "e loro continuato, combattono ogni onda violetta che gli s’infrange contro": loro continuato...? Non so cosa intendi. Poi: anche qui "gli" non si riferisce a nulla, metti "combattono ogni onda violetta che s'infrange contro di loro"
- "Byron di legano": "si" invece di "di"
- "un arpa pizzicata": hai dimenticato l'apostrofo, e poi, per elevarsi a un Dio, Byron deve avere un'ampia considerazione di sè u.u
- " ora come una candela, s’accende": "ora, come una candela, s'accende"