domenica 8 maggio 2011

Lettere dall’albergo Astoria

Quando per scrivere qualcosa prima ti devi immedesimare, è come un attore, un ruolo da interpretare, pian a piano, per davvero, perché non puoi resistere ai richiami della gente, ai caldi sussurri di una maschera.

* * *

 

Madame? Ho paura.

Ho paura, manco fossi la nota saltata di un pianista, scordata per caso da dita troppo sottili per trattenere le dimenticanze ai diesis dispersi.

Ho paura, Madame. St Petersburg è una pallottola nella neve, è il mio sogno congelato. E non consumato, no, non lo è. E tu, Madame, sei un po’ di colore buttato giù, ai gli occhi rotti dai baci del vino, dal silenzio divino.

Hier, Madame, avevi un bacio vestito nella malinconia delle mie matite sporche, rotte, infrante5145937428_73a1fda1af_b sotto i tuoi profili sempre più spigolosi, sulle scalate di colore – di piacere. Dei miei tratti – come le tue unghia sicure tra i miei seni, e le vesti sbrogliate da ogni foglia d’autunno ch’andato scricchiola tra una piega e l’altra, quasi – Madame – fosse un visto, un visto agognato. Cadute a terra, dai rami di sogni come baionette. O da fucili.

Pa, pa, pa, pa, pa, pa, pa, pa, pa.

Pa!

Mia Russia.

Et voilà… ho un quadro! Un quadro, in camera, una tela rovinata dalla smorfia delle mie mani, dai bronci del mio pennello. E le setole – le setole, le setole che roteano come le ballerine del cancan, i tuoi papaveri sfioriti si sono amati in un cassetto a Parigi. Nous allons à Paris, un jour, Mon Amour. Ensamble.

In rovina, il rosso t’ha scoperto d’invidia, in una posa così osé, hahahaha son le risa dei tuoi vini, dei tuoi baci, degli abbracci gelati di secondi esplosi, e le dita, le dita che traversano come trame, come ossa in una tempesta. Siam calici, calici roti nella meraviglia dei nostri vuoti.

Au revoir, Madame.

Che le stelle ci strazino le cosce, ci entrino dentro le cosce, e vengano poi vomitate come le mie belle figlie, come donne fiamminghe, come fuoco tra le stringhe.

Oggi, domani, per sempre.

Au revoir, Madame.

E ascolteremo i tramonti sui confini di nuovi spari, confini che restringerò, tagliati nelle tue labbra. E mani infinite che sbocciano ricordi insani. Come i figli del bosco, Madame.

Come i figli del bosco.

Come gli oceani seccati in gola, macchie di rose ai nostri peccati.

Che siam le frasi lasciate a metà, quella mai iniziate, mai finite, quelle infinite.

Adieu.

 

                                                                                                                                               Tamara Ł.

2 commenti: